Roma 2005... Un giallo canonico, con tutti i suoi stilemi: il delitto, la ricerca dell'assassino (e del movente), l'incertezza delle indagini, altre quattro vittime (e fanno cinque), e il variegato mondo di contorno fra banchieri, prostitute, onorevoli "regionali", politici e tutto un "generone" altolocato che svela le sue basse gesta.
Un poliziotto volitivo e sagace è al centro di tutto; un poliziotto che anzitutto interroga, catechizza se stesso: "La vita gli diceva che chi vince ha ragione e chi perde ha torto, ma il suo lavoro era quello di mantenere l'equilibrio tra chi vince e chi perde". Qui c'è l'insofferenza dell'uomo che non sopporta più l'inumanità attorno a sé, reietta, cinica e alienata. Il Commissario Morando ondeggia così tra un cinismo d'autodifesa, ancor più tagliente, e una bonaria , filosofica compassione nei confronti dei propri simili, condomini dello stesso purgatorio (in)civile.
Ma come in un dramma metaforico, gli si contrappone un giustiziere "etico", un assassino "purificatore", almeno nella sua fantasia esaltata e perversa di controideali: "Io sì, ero proprio una formichina, lo ero ma non lo sono più. Ho cambiato lavoro: elimino gli insetti, aiuto l'umanità, aiuto quei disgraziati a sparire dalla terra. Sono un benefattore"...